I Destroyer di Have We Met restano notturni e poco sereni.
Mentre i ragazzi trappano, i 40-50-60enni si stordiscono di rimpianti e ristampe dei Pink Floyd. In questo secondo ambito d’età sopravvive però una piccola cellula resistente interessata a coetanei che si esprimono secondo modalità che spaziano fra l’intenso e l’arguto, il colto e il suadente. Tanto per fare qualche nome: Divine Comedy, Peter Perrett, Lambchop e il caso in questione: Destroyer.
Dan Bejar al centro dei Destroyer
Il gruppo canadese nasce a fine anni ’90 e da allora fa riferimento alla figura carismatica ed elusiva di Dan Bejar. (Che a un occhio italiano il suo carisma perda fulgore causa un aspetto che incrocia Fiorello e Abatantuono è un altro discorso.) Have We Met è il loro dodicesimo album e trova un buon equilibrio fra la densità degli arrangiamenti con sintetizzatori vintage e chitarroni e l’aura crepuscolare del cantato di Bejar. Leggenda vuole che abbia registrato le parti vocali nella notte, costretto a un quasi sussurro per non svegliare la famiglia dormiente nella stanza accanto.
Lo stato d’animo di Have We Met
Quietamente apocalittico, qua e là funerario ma altrove vicino all’art-pop, Have We Met è un eccellente album ricco di pensiero ma un po’ carente nell’azione. E le canzoni, fatta eccezione per Crimson Tide e Cue Synthesizer, non hanno il brio o i guizzi drammatici di quelle di un altro gruppo importante del rock alt-adulto, i Balthazar. O forse nei Destroyer è più da cercare il discorso d’insieme, sicuramente suggestivo, che non i singoli pezzi, forse occorre farsi prendere dalla loro lunga notte. A volte lo stato d’animo per farlo è quello giusto, a volte no.
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