I Franz Ferdinand alle prese con un disco importante.
Cinque album in 15 anni di carriera per i Franz Ferdinand. Un’andatura compassata, da star affermate, scelta dopo l’uno-due a distanza ravvicinata rappresentato nel 2004 dall’eponima opera prima (fra i manifesti sonori degli anni ‘00) e dalla sua piacevole ricopiatura We Could Have It So Much Better (2005).
Una carriera brillante ma un po’ in calo per Alex Kapranos e la sua band
Diventati a quel punto ancor giovani e già acclamate star, Alex Kapranos e soci si sono trovati a gestire aspettative, e anche abiti, forse troppo impegnativi. Tonight (2009) avrebbe dovuto segnare l’affermazione definitiva. Il risultato è un mezzo concept album su una notte brava per ragazzi alla moda. Non male la musica, ma l’insieme ha un’aria precocemente autocelebrativa. Right Thoughts, Right Words, Right Action (2013) ritorna al pop delle origini con l’aggiunta di qualche complicazione sentimentale e strumentale. E’ un bel disco a cui manca qualcosa a metà fra l’incisività e l’anima.
La collaborazione tra Franz Ferdinand e Sparks
Poi arriva la collaborazione con gli Sparks per il progetto FFS (2015). Sia in studio che sul palco l’idea funziona assai bene e la tournée a tre lettere va considerata uno degli eventi live del decennio. Non fosse che i malevoli vecchietti di Los Angeles rubano sovente la scena ai quattro scozzesi con parecchi anni in meno.
Always Ascending e il bisogno di novità
Always Ascending è, fin dal titolo, una sfida (parziale) dei Franz Ferdinand a se stessi e a una scena indie-trendy che ha intanto trovato negli Arcade Fire il nuovo nome di riferimento. Un cambiamento era doveroso e la sostituzione del chitarrista-fondatore Nick McCarthy con Julian Corrie ha dato i suoi frutti. Corrie, noto anche come Miaoux Miaoux, rende davvero convincente l’avvicinamento all’elettronica che i FF avevano tentato in precedenza con solo discreta efficacia. La fusione fra le classiche chitarre nervose e i nuovi synth rende il suono corposo e ricco di sfumature, pop e ballabile. O anche “futuristico e naturalistico”, come dice Kapranos. In questa chiave la band azzecca diversi pezzi secondo il canone che l’ha fatta tanto apprezzare agli esordi: strofa che sfocia senza fatica nel ritornello e un tono generale che associa epos e dissolutezza. Se la title-track, Lazy Boy, Finally e la molto ‘sintetica’ Lois Lane risultano perfette secondo quest’ottica e fluidamente trascinanti, altri momenti appaiono più formulaici. Lo è, ad esempio. Feel The Love Go, dove peraltro la bontà della nuova mescola sonora è evidente nella lunga coda strumentale con sax alla Roxy Music.
La ‘classicità’ dei Franz Ferdinand
E, visto che ha fatto capolino un nome classico, l’aggettivo viene bene per descrivere i due episodi del disco in cui il ritmo rallenta. Sia Slow Don’t Kill Me Slow sia Academy Award si collocano giusto all’interno di una classicità britannica che fa capo a nomi come i Roxy appena menzionati, ma anche ai Pulp, ai Blur e agli Smiths. Sono canzoni sontuose, notturne e vagamente decadenti, ma soprattutto intense, aggettivo quasi mai associato ai Franz Ferdinand. Forse è questa la novità più importante, oltreché una buona idea per il futuro.
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