Il mondo poco solare di Ghostpoet.
Sono sempre più numerosi i dischi che hanno come tema le sorti poco magnifiche e ancor meno progressive del quotidiano occidentale (forse non dovremmo dimenticare che altrove va assai peggio).
Le diverse declinazioni di questa angoscia del moderno sono, purtroppo e per fortuna, quasi sempre interessanti. Si va dagli atti di accusa intensi e al tempo stesso circostanziati di PJ Harvey e Nadine Shah al malridotto sogno americano di LCD Soundsystem alle ansie politiche dei National e così via. E poi ci sono sempre i Radiohead…
Ghostpoet e il cantar-parlato della modernità difficile
In questo ambito meriterebbe maggiori riscontri un personaggio quale Obaro Ejimiwe, in arte Ghostpoet. Il trentaquattrenne londinese nasce come rapper e MC, anche se album dopo album (siamo al quarto) si è costruito una più articolata dimensione di cantore del disagio. Un cantore che ormai rappa pochissimo e che in questo Dark Days + Canapés accosta ai beats spigolose chitarre alt-rock e persino qualche tocco di archi. Non a caso molti lo descrivono come una fusione fra i Fall e Tricky.
Volendo i referenti sono anche altri e non di poco conto. L’asciutta desolazione di Blind As A Bat… procurerebbe una crisi d’ansia a Thom Yorke, mentre Trouble + Me è truce e intrigante quanto certe cose del primo Nick Cave con Barry Adamson. O del Barry Adamson solista.
Nomenklalura rock a parte, Ghostpoet comincia, come si diceva, a somigliare solo a se stesso. Sommesso e incisivo, laconico e partecipe, pensoso e (a modo suo) groovy. E se proprio bisogna alzare i toni è perché un testo come quello di Immigrant Boogie (una famiglia di profughi cerca una vita migliore, la fine è tragica), lo richiede. Salvo ritornare subito alla prediletta dimensione sottotraccia nel duetto Woe Is Meee con Daddy G dei Massive Attack.
Molti pregi e pochi difetti in Dark Days + Canapés
Con qualche lampo di luce – ancorché livida – in più (tipo Freakshow) e qualche giro a vuoto su battute troppo mosce in meno, Dark Days + Canapés sarebbe un grande disco. Anche così comunque si difende piuttosto bene. Soprattutto evita il rischio sia della retorica sul mondo incurabile sia del miserabilismo fine a se stesso. A volte le mezze misure sono le misure giuste.
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