Michael Head e la dialettica arte-vita in Dear Scott
Dice il mensile britannico Uncut che Michael Head è “il più grande autore di canzoni inglese vivente”. Forse l’affermazione è eccessiva. Una cosa è tuttavia indiscutibile: Michael Head è il più straordinario autore di canzoni vivente (inglese e non) per quanto concerne la distanza fra arte e vita: celestiale la prima infernale o giù di lì la seconda. In tal senso Dear Scott (Modern Sky)è il capolavoro del sessantunenne musicista di Liverpool e della sua carriera iniziata nei primi anni ’80 con i Pale Fountains e proseguita con Shack, Strand e, per gli ultimi due dischi, Red Elastic Band.
Questa dialettica arte-vita in cui la prima aiuta a rendere migliore, o almeno accettabile, la seconda, sembra essere una peculiarità d’Oltremanica. Pensiamo all’ormai risanato Peter Perrett o a Peter Doherty, che invece dà l’idea di poter ricadere nel baratro in ogni momento. Rispetto ai due Peter, Michael è, come detto, quello che meno lascia immaginare le difficoltà incontrate lungo il cammino, i demoni (l’eroina su tutti) che ha dovuto – e deve – tenere a bada.
Dear Scott: suoni, melodie e stati d’animo
Tutto quanto Dear Scott scorre in modo meravigliosamente fluido e con melodie sempre ineccepibili (a volte due diverse in uno stesso pezzo), in un ambito che viaggia tra pop intelligente e folk-rock appena trasognato (Pretty Child fa pensare ai Rolling Blackouts C.F.). E poi c’è un produttore assolutamente in sintonia con l’autore come Bill Ryder-Jones che dà a ogni canzone il suo vestito, il suo tocco peculiare: la fuga di chitarra jazz in Gino and Rico, la pedal steel cosmica di The Grass e, quasi ovunque, nitidi arrangiamenti di archi e fiati che assecondano il più grande amore sonico di Head: i Love di Forever Changes.
A ben ascoltare, però, qualche angoscia emerge. Ad esempio in Next Day dove il flauto, i cori, l’andatura serena, la dimensione quasi bucolica non riescono a celare del tutto una voce che sembra cercare una limpidezza perduta (pur fraseggiando perfettamente). Fluke invece lascia trasparire la tristezza suscitata da un tour in bus alla scoperta delle magioni delle star hollywoodiane, mentre Grace and Eddie è ispirato dall’incontro con due attempati musicista da sempre sulla strada. Per non dire del titolo dell’album, preso a prestito dall’incipit di una cartolina che Francis Scott Fitzgerald scrisse a se stesso nel pieno di una crisi creativa.
Quale futuro per Michael Head?
L’autore di Tenera È La Notte morì tre anni dopo aver scritto quelle parole. A Michael Head auguriamo invece che il suo Dear Scott sia foriero di altre opere felici. E magari di una vita più serena.
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