PJ Harvey - B-Sides, Demos & Rarities

B-Sides, Demos & Rarities: in genere non valgono la pena, ma con PJ Harvey il discorso cambia.

Le raccolte di inediti e rarità riposano di solito su un gran pregio cui equivale, invariabilmente, un gran limite. Il pregio sta tutto nel ruotare, a posteriori, della prospettiva visuale, nell’annotare, a viaggio compiuto, un taccuino in cui compare soltanto quel che non si è scelto, i luoghi nei quali non siamo stati, che si è deciso di non visitare. Potrebbero andare sommersi e così si salvano.

Il limite è inevitabilmente quello del formato: la compilazione, l’assemblaggio cronologico, senza cuore né anima, di quel che c’è e che avanza dal pranzo di gala della discografia ufficiale. Bella musica, se va bene; ripetizioni appena variate, capaci di produrre impercettibili erezioni musicali in palati troppo fini, se va male. Che salti fuori qualche diamante è la speranza che sempre risorge, caparbia, in un tempo che, ne siamo convinti, capolavori nei cassetti ne lascia ancora davvero pochi, e non solo in musica. Speranza facilmente delusa.

La carriera di PJ Harvey e i B-Sides, Demos & Rarities

L’operazione di ripercorrere in un grande piano sequenza tutta la propria carriera, lungo il binario delle versioni demos degli album in studio, nei quali in più occasioni abbiamo intinto la penna, PJ Harvey l’ha portata a compimento nel 2022, allo scoccare dei trent’anni di carriera. Complessivamente una conferma, in versione struccata e virata seppia, della qualità altissima del lavoro musicale dell’artista britannica. E se i demo di To Bring You My Love ci avevano lasciati convinti che l’abito facesse il monaco, con Let England Shake la nostra fede ferrea nel prodotto finito e finale è stata scossa e, sì, abbiamo dubitato e oscillato. Con The Hope Six Demolition Project siamo infine caduti in ginocchio. Peccatori che siamo.

L’inedito con John Parish

A coronamento di questo grande riepilogo, che PJ Harvey ha voluto e costruito per attraversare le proprie tutt’altro che morte, ma certo lontane, stagioni creative e di vita, ecco questo monumento alla se stessa di oggi e di ieri: 59 brani, per complessive 3 ore e 18 minuti di musica. Un solo inedito, Why D’ya Go To Cleveland, scritto con John Parish, di alta qualità, ma che no, non è un capolavoro (si era detto, eh) e non cambia il quadro di una virgola. Per il resto, una lunga cavalcata a raccogliere i minuzzoli di mollica lasciati per strada in trent’anni, da quando chitarra voce & molta rabbia, Polly Jane Harvey esplose inattesa con quel Dry rispetto al quale cambiò poi mille volte penne e pelle, ma che ancora oggi resta una pietra d’angolo della musica dell’ultimo quarto di secolo abbondante. Siamo contenti? Sì. Siamo soddisfatti? No, ci mancherebbe.

PJ Harvey

Perché ci viene da domandarci se ci sia un filo conduttore che non sia la spigolatura riflessiva e prospettica sul proprio passato musicale, sporcato di polvere, quadro dopo quadro,  e ci rispondiamo che forse no, non c’è. E allora non resta che scorrerlo e goderlo, canzone dopo canzone, questo B-Sides, Demos & Rarities: a tutti e a ciascuno disegnare le proprie traiettorie della mente, del cuore e del gusto.

La rilettura di Red Right Hand

D’altra parte la mente vola all’ultimo capito dell’analoga operazione compiuta dal compagno di oscurità di sempre, Nick Cave. Chi sa che non sia un caso, nel mondo occulto delle sinapsi artistiche, questo guardare insieme ai se stessi di ieri, a distanza di poco tempo, attraverso il buco della serratura. Quel che è certo è che se l’officina di Nick Cave appare un po’ malandata e in disarmo, quella di PJ ferve di martellate ed è in piena attività: l’ansiosa, dilatata e stravolta lettura di Red Right Hand che chiude il lavoro, dopo che Dry lo aveva aperto, è una delle tre gemme che vi sono state forgiate. Le altre due? Memphis e 30, dittico in memoria di Jeff Buckley. La prima è la sconsolata ed impossibile elaborazione della perdita dell’amico musicista che le aveva scritto dal Tennessee, nel giorno di San Valentino, una sorridente lettera rimasta senza risposta, per poi essere risucchiato da un fiume invidioso. La seconda è l’accorata riflessione sul tempo, sull’età e sulla morte che arriva a squarciare il velo di una troppo lunga infanzia: «Thirty years I’m still a child / Looking for something in a smile».

Ci eravamo quasi dimenticati, sciocchini che siamo: felici, sì, per questo B-Sides, Demos & Rarities, lo siamo. Perché un cuore ed un’anima ce l’ha. E si trovano, esattamente, qui.

PJ Harvey - B-Sides, Demos & Rarities
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Ha iniziato ad ascoltare musica nel 1984. Clash, Sex Pistols, Who e Bowie fin da subito i grandi amori. Primo concerto visto: Eric Clapton, 5 novembre 1985, ed a seguire migliaia di ascolti: punk, post punk, glam, country rock, i pertugi più oscuri della psichedelia, i freddi meandri del krautrock e del gotico, la suggestione continua dell’american music. Spiccata e coltivata la propensione per l’estremo e finanche per l’informe, selettive e meditate le concessioni al progressive. L’altra metà del cuore è per i manoscritti, la musica antica e l’opera lirica. Tutt’altro che un critico musicale, arriva alla scrittura rock dalla saggistica filologica. Traduce Rimbaud.

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