Post Malone - Twelve Carat Toothache

Un disco dove a volte qualcuno rappa, ma non c’è traccia di hip-hop: Post Malone – Twelve Carat Toothache.

Post Malone consolida le sue posizioni in classifica con Twelve Carat Toothache (Mercury – Republic), quarto disco della sua carriera, registrato negli ultimi due anni con una lunga lista di collaboratori e diversi featurings: alcuni prevedibili tipo Roddy Ricch, Doja Cat, Gunna, uno ignoto (almeno a me) cioè Kid Laroi, uno al top, The Weeknd, uno imprevedibile, ossia i Fleet Foxes (che si limitano ai cori o poco più).

Il pop depresso

Nei 14 brani per 43 minuti che compongono Twelve Carat Tooth, Post Malone consolida pure la tendenza depressiva di una parte del pop mainstream contemporaneo. Come per i testi di The Weeknd, dove il nichilismo abbonda, anche Post Malone insiste su depressione, suicidio (Euthanasia è uno dei titoli), dipendenze varie (Love/Hate Letter to Alcohol è un altro). Mentre però la musica di The Weekend vira decisamente alla dance anni ’80, creando anche un piacevole contrasto con le parole, Post Malone ripropone un mix di generi dominati da toni emo che emergono prepotenti in quasi ogni situazione. Giusto la collaborazione fra i due è un po’ più movimentata.

I momenti migliori del disco

Alcuni momenti di Twelve Carat Tooth sono piacevoli. Lemon Tree una bella ballata condotta dalla chitarra acustica. Wrapped Around Your Finger un pezzo radiofonico catchy come si deve. Anche I Like You con Doja Cat è simpatica, e poiché le tre canzone sono in fila nella prima parte, il disco lascia sperare in meglio rispetto a quanto poi non concluda. Altre però sono poco più di cantilene con una produzione sovrabbondante difficile da reggere: I Cannot Be o la sciropposissima Wasting Angels, ad esempio. Su Insane, Post Malone si ricorda di essere nato trapper/cantante e ci riprova; per il resto le atmosfere di questo Twelve Carat Toothache sono più simili al penultimo Hollywood’s Bleeding che non agli esordi o alla signature track Rockstar. Certo, Gunna o Roddy Ricch rappano, ma come si diceva in apertura qui di hip-hop non c’è veramente nulla. È un disco che amalgama generi vari (r’n’b, ballate acustiche, pop ultramelodico) privilegiando l’estrema semplicità su qualunque ricerca – che è possibile, magari è il caso di ricordarlo, anche nel pop da classifica.

 

Post Malone,Twelve Carat Toothache e le accuse di appropriazione culturale

Non è neppure il caso di ricordare le polemiche di questi anni di quanti, nel mondo della black music, hanno accusato Post Malone di “appropriazione culturale”. Può darsi che all’inizio della carriera la trap gli sia servita per aprirsi la strada, visto che andava; ma con qualche decina di milioni di dischi venduti-ascoltati, ormai Post Malone non ne ha proprio più bisogno e questo prodotto ibrido venderà come gli altri. Mi pare più un segno dei tempi critici per il rap, perché agli inizi degli anni ’00 Eminem, che pure è incorso nelle stesse accuse, esplodeva in un’epoca d’oro per il genere e, piacciano o no i suoi dischi, era mosso da una passione profonda per quella musica, accompagnata da un’ottima conoscenza dei fondamentali e pure delle nicchie. Evidentemente il pubblico di Post Malone, così come lui stesso, se dice rap o trap pensa alla sua versione edulcorata e scialba che oggi trionfa. Se lo tengano, dunque: in classifica arrivano pure Kendrick Lamar e Tyler the Creator, a testimonianza che l’hip-hop è ancora in grado di pulsare.

Post Malone - Twelve Carat Toothache
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Mi piace la musica senza confini di genere e ha sempre fatto parte della mia vita. La foto del profilo dice da dove sono partita e le origini non si dimenticano; oggi ascolto molto hip-hop e sono curiosa verso tutte le nuove tendenze. Condividere gli ascolti con gli altri è fondamentale: per questo ho fondato TomTomRock.

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