Abituare i fan all’inaspettato: Tyler, the Creator – Call Me If You Get Lost.
Il 9 giugno a Los Angeles sono apparsi diversi tabelloni con impresso un numero di telefono accompagnato dalla scritta “call me if you get lost”: chiamando il numero si poteva sentire parlare Tyler the Creator con sua madre. Poco dopo alcuni fan hanno scoperto che la stessa scritta era già apparsa sull’etichetta della valigia con la quale l’artista si presentò ai Grammy’s nel 2019 e si è iniziato quindi a vociferare di un possibile nuovo progetto in arrivo. Il 16 giugno Tyler ha effettivamente pubblicato il singolo Lumberjack e, meno di dieci giorni dopo, com’è ormai abitudine per lui fare ad anni alterni, ha pubblicato il suo settimo album, Call Me If You Get Lost.
Dopo IGOR le aspettative erano alle stelle: l’album sembrava parte di una climax che avrebbe allontanato sempre di più Tyler dal rap non melodico dei suoi primi anni, e invece Call Me If You Get Lost è un album rap in piena regola.
Una lenta costruzione
Nonostante il ritorno ai suoni dei primi album come Bastard e Wolf, la sua evoluzione artistica si sviluppa in diversi ambiti. Un primo elemento su tutti, l’album sembra essere un vero e proprio progetto artistico pensato: dall’indizio sul red carpet due anni fa ai tabelloni apparsi in giro, e ai videoclip che stanno lentamente venendo pubblicati, Call Me If You Get Lost sembra seguire le amatissime orme di IGOR. Il settimo album è secondo me la prova del fatto che Tyler sia ormai un artista genre-bending, a suo agio nel far musica che piaccia in primo a luogo a se stesso a prescindere dalle etichette, una conferma del fatto che ha abituato i suoi ascoltatori a prepararsi all’inaspettato. I featuring dell’album sono davvero ben pensati e non inseriti semplicemente per far parlare del progetto.
Nonostante la mancanza della chiacchierata collaborazione con Iggy Pop e A$AP Rocky, troviamo nomi come Lil Wayne, Lil Uzi Vert e Pharrell Williams, con il quale aveva già collaborato in passato, nonché il ritorno di due ex membri di ODD FUTURE, Frank Ocean e Domo Genesis. Nell’album, oltre agli azzeccati featuring, ritroviamo lo squisito uso che Tyler fa delle campionature, cosa che ormai lo caratterizza nel genere.
Tyler, the Creator – Call Me If You Get Lost sperimenta con i generi
Call Me If You Get Lost è quindi un completo ritorno ai suoi primi album? No, personalmente lo definirei più come il figlio illegittimo di Wolf e IGOR: un album rap sperimentale con alcuni suoni soul e dietro l’idea di IGOR. Per quanto si distacchi di sicuro dal precedentemente nominato approccio melodico di IGOR e Flower Boy, e assomigli in molti pezzi come Corso ad album come Wolf, sono presenti anche suoni soul e a tratti bossanova e jazz come per esempio nei messaggi della segreteria telefonica/interludes e in canzoni come Hot Wind Blows, Sweet / I Thought You Wanted To Dance e Wusyaname.
Sir Baudelaire
Nella prima delle sedici track dell’album veniamo introdotti a Sir Baudelaire, quello che al primo ascolto può sembrare uno degli alter ego a cui Tyler ci ha abituato come una costante dei suoi lavori. Sir Baudelaire si autodefinisce “una persona cattiva”, amante dei drammi e dall’ego a tratti spropositato. La cosa interessante di questo “personaggio” è che sembra essere Tyler stesso.
Mi spiego: mentre solitamente l’artista usa gli alter ego per dare voce a parti di sé che magari vuole tenere nascoste, un po’ come un mr. Hyde, Sir Baudelaire fa chiari riferimenti alla vita privata e pubblica di Tyler e, come ci viene poi confermato nella quindicesima traccia, sembra essere il vero Tyler che ha deciso di non tenere più privata una sua storia sentimentale. Ebbene sì, esattamente come nel suo album precedente, Call Me If You Get Lost racconta una storia amorosa, o meglio, parla nuovamente di un triangolo, solo che a differenza di IGOR, Tyler è l’amante e non più il fidanzato.
Wusyaname è l’inizio della storia
Il moto della storia parte con Wusyaname, canzone che ironicamente sembra esser uscita da IGOR: qui Sir Baudelaire si innamora di una ragazza ma arriva subito il conflitto perché lei è fidanzata.
Con Lumberjack siamo di fronte forse al più grande leitmotiv dell’album: Sir Baudelaire capisce che non può avere la sua amata e compensa quindi parlando dei suoi successi e di altre cose di valore in stile Cherry Bomb. In Massa questo spostare l’attenzione sui suoi successi diventa ancora più palese quando lui stesso nomina Yonkers (canzone di Wolf che se vogliamo è stata la prima a renderlo particolarmente noto) e i due album Cherry Bomb e Flower Boy, i quali lo hanno portato ad essere in tutto e per tutto una figura di rilievo della scena internazionale ancor prima di IGOR.
Tyler e la cancel culture
Degna di nota, anche se non influente nel contesto della storia d’amore che fa da sfondo all’album, è Manifesto, track nella quale l’artista critica aspramente la cancel culture, e il paradosso per cui, visto che adesso ha successo, nessuno provi più a “cancellarlo”. Ma il centro delle critiche di Tyler in questa track è il cosiddetto “attivismo performativo”, ovvero l’attivismo da due soldi fatto per mostrarsi agli altri, usato come un mezzo di autopromozione e non a beneficio della causa in sé. Nello specifico l’artista si riferisce a ciò che è successo con Black Lives Matter l’estate scorsa (il movimento è stato trasformato in una moda, che in quanto tale è andata scemando nel giro di pochi mesi).
Una storia senza lieto fine?
Tornando alla storia, abbiamo la track numero 10 (la quale è ormai tradizione essere doppia, sin dai tempi di Bastard) ovvero Sweet / I Thought You Wanted To Dance, canzone dai suoni simili al Tyler melodico degli ultimi progetti, nella quale Sir Baudelaire diventa un nemico con cui possiamo persino empatizzare quando la ragazza da lui amata non vuole “ballare” (impegnarsi) con lui e sceglie quindi di restare con il suo fidanzato.
Nell’outro di Rise! prova a perdonarla e non vuole essere lasciato, mentre in Blessed torna a convincersi che i suoi successi valgano più di questa delusione. In Wilshire abbiamo una sorta di riassunto (ben 8 minuti di track) dell’intera storia e scopriamo che il fidanzato tradito è un amico di Tyler. Alla fine lei sceglie di rimanere con il fidanzato e questa è la vera morale (non proprio nuovissima) dell’album- Sir Baudelaire può essere anche l’uomo con il più strepitoso successo del mondo ma la cosa che vuole più intensamente di tutte, ovvero l’amore della ragazza, non può essere comprata. Nell’outro Safari non c’è quindi nessuna risoluzione, nessun lieto fine per Tyler né consolazioni, ma allo stesso tempo l’artista non si piange addosso: il finale di questa storia è crudo, senza aperture di alcun genere. Rimane solo la voglia di chiamare il numero per provare a non sentirsi più persi.
In Call Me If You Get Lost Tyler the Creator mescola le carte con maestria
Personalmente, da grande fan quale mi ritengo, trovo che questo album rappresenti una sorta di scrematura che Tyler fa, più o meno consapevolmente, rispetto a chi lo ascolta e lo segue. In Call Me If You Get Lost Tyler the Creator è tornato in parte alle sue origini e a fare musica di sicuro più difficile da vendere rispetto ai suoi lavori più recenti, ha qui creato l’album perfetto per chi lo ascolta da diverso tempo: se uno si aspetta un “simil IGOR” rimarrà deluso: questo album rispecchia la maturazione artistica di un autore che sembra finalmente sentirsi libero di fare la sua musica sperimentale, aggiungendo sì del soul ma restando fedele alla sua inclinazione rap.
Call Me If You Get Lost è secondo me un progetto fatto decisamente per piacere a Tyler the Creator e ai suoi fan più autentici, piuttosto che al mainstream che si era aggiunto dopo il Grammy, in quanto non rappresenta ciò che ci si sarebbe aspettati: non c’è alcun alter ego instabile e nessun effetto shock in stile Yonkers. C’è solamente Tyler, la sua musica e i suoi suoni che riescono, nonostante la diversità, ad inserirsi in un progetto completo e coerente, secondo me assolutamente da ascoltare almeno un paio di volte per apprezzarne sino in fondo non solo le campionature ma anche l’originale idea artistica, che rappresenta la maturazione creativa di Tyler.
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