Con The Ruby Cord il folk oscuro di Richard Dawson si addentra nel futuro
Richard Dawson è debordante: nell’aspetto, nella musica, nei progetti, nel timbro vocale, nella quantità di parole dei suoi testi. Ma con The Ruby Cord (Weird World) si è espresso davvero in grande stile.
Se un doppio album di 80 minuti abbondanti è già una bella impresa, il fatto che uno dei pezzi ne occupi 41 è davvero da primato (quello precedente dotrebbe appartenere ai Canned Heat di Refried Boogie con 40 minuti e 51 secondi).
Il primo, enorme, brano di The Ruby Cord
Ora, una cosa tanto lunga viene naturale immaginarla movimentata, ricca di elementi che rendano vario l’ascolto. Invece The Hermit resta sempre, letteralmente sempre, sottotraccia. Le critiche si sono concentrate soprattutto sui primi 11 svagati minuti strumentali (che l’autore ha equiparato a un lento risveglio mattutino), ma non è che i restanti 30 aumentino il ritmo, l’enfasi, la tensione. E in tale contesto la voce acuta e al tempo stesso stentorea di Dawson può affaticare.
L’intenzione dovrebbe essere quella di tratteggiare – qui e nel resto del lavoro – lo strano mondo sospeso fra virtuale e reale in cui vivrà l’umanità del XXVII secolo o giù di lì. Sì perché The Ruby Cord è la terza parte di una trilogia iniziata nel 2017 con Peasant, ambientato nella cruenta Inghilterra del 600 d.C. e proseguito nel 2019 con 2020 (mai titolo portò così male…), dove si racconta un presente meno carico di fango e sangue ma altrettanto spiacevole.
La seconda parte potrebbe essere il miglior disco di Richard Dawson
Va detto che gli ascolti successivi di The Hermit migliorano la situazione. Ad esempio, ci si comincia a perdere oniricamente nelle spire litaniche del lungo finale a due voci. Ma il vero miglioramento arriva con la seconda metà del lavoro, cinque canzoni più un breve strumentale. Fosse un album a se stante, un The Ruby Cord Pt. 2, rischierebbe di essere il migliore dell’improbabile bardo “of Newcastle Upon Tyne”.
Qui Dawson trova un eccellente equilibrio (termine insolito per lui) fra il suo classico folk oscuro–nervoso con violino e arpa e i sussulti epici e metallici di Henki, il disco del 2021 inciso insieme ai finlandesi Circle. Sorprendono la melodia ampia di The Fool e quelle quasi serene di Thicker Than Water e Horse and Rider, che fanno pensare un altro folksinger dalle modalità bizzarre, Alasdair Roberts. Poi c’è la pacatezza un po’ inquietante di Museum: “Benvenuto, caro visitatore/ primo a entrare nel nostro museo/ nei dodici secoli da quando gli esseri umani sono scomparsi”. In The Tip of an Arrow, il passaggio più coinvolgente del lavoro, è difficile capire se i protagonisti, padre e figlia, vivono in un mondo post-atomico o lo confondono con un videogioco. Insomma, anche il futuro non promette molto bene.
Ancora una volta Richard Dawson stupisce e intriga, anche se c’è il rischio che molti facciano cominciare l’ascolto di The Ruby Cord dal pezzo numero due . È comunque tanta roba.
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