Tunes for Empty Rooms: infine Rodolfo Bignardi esordisce su disco
Rodolfo Bignardi è uno che di musica ne sa. Dà l’impressione di essere nato dentro la musica, magari grazie a qualche ampia collezione discografica genitoriale. Le biografie lo dicono busker di lunga data (a dispetto dei trent’anni appena passati) e anche quest’esperienza di strada si sente. Ad esempio nel piglio deciso di una voce abituata, per necessità, a farsi sentire. L’unico mistero è perché abbia aspettato così tanto per l’esordio discografico, anche se c’è da immaginare una naturale tendenza al perfezionismo. O forse c’è di mezzo la paura di non essere all’altezza di taluni autorevoli maestri.
E se degli influssi ‘da paura’ parleremo più avanti, si può dire che Bignardi già ora se la gioca con i migliori nomi contemporanei di quell’ambito definibile come “folk-rock con molta chitarra e un po’ di sperimentazione” che si muove fra Londra, New York e Chicago. Parliamo di gente come James Blackshaw, James Elkington, Ryley Walker, Steve Gunn. E il nostro se la gioca alla pari proprio perché entra in scena da esperto del settore. Come a dire che, a volte, arrivare tardi non è arrivare in ritardo.
Rodolfo Bignardi e i suoi Tunes for Empty Rooms
Tunes for Empty Rooms (non così desolato come il titolo farebbe immaginare) scorre lineare senza essere semplice. Si può dire che “senza essere” è un po’ la cifra di tutto il lavoro e, probabilmente, quella stilistico-esistenziale del musicista genovese. La chitarra è sapiente, scintillante (a volte John Martyn, a volte Bert Jansch) senza essere virtuosistica, la voce possiede bel timbro e bella estensione (inevitabile pensare a Buckley padre e figlio) senza essere alla ricerca della spettacolarità. E comunque, tutti questi nomi-monumento occhieggiano solo per qualche istante senza essere (ancora una volta!) troppo persistenti. O imbarazzanti.
In un lavoro molto apprezzabile anche quanto a scrittura delle canzoni piacciono in particolare Lemon-Hearted Girl, la più cantautoriale di tutte, Straight to The Heart, accorata come il titolo fa immaginare, e Driftin’ in Troubled Waters: andatura misteriosa su un arpeggio insistito e poi un’imprevista complicazione elettrica o, volendo, una tempesta mentale.
Bene, Rodolfo Bignardi, visto che il primo tentativo è andato bene, perché non approntare quanto prima un sequel? Per recuperare il tempo perduto e per dimostrare che anche in Italia c’è chi guarda verso il mondo. Quello migliore.
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