In 72 canzoni la leggenda del club Les Cousins di Soho.
Il folk è musica carsica, quantomeno a livello di attenzione generalista. Musica solida e legata alle radici – eppure quasi mai con modalità passatista (per quella servono i Måneskin) – e dunque di conforto in tempi incerti. Non a caso, in questi ultimi, difficilissimi anni il folk ha fatto parlare di sè un po’ dappertutto e in forme diverse, dal tradizionale riarrangiato alla canzone d’autore persino alla sperimentazione. E nel 2023 in quasi tutte le classifiche di fine anno ha fatto un figurone il drammatico, viscerale False Lankum degli irlandesi Lankum.
Les Cousins: un folk club decisivo
Qui invece facciamo molti passi indietro nel tempo fino a un momento in cui il folk era addirittura moooolto alla moda e, a dispetto del suo teorico conservatorismo, in sintonia con grandi novità sociali. Siamo fra il 1965 e i i primi anni ’70 e siamo a Londra, quartiere di Soho, esattamente al numero 49 di Greek Street, nel locale battezzato Les Cousins (in onore, chissà perché, dell’omonimo film di Claude Chabrol).
Les Cousins (Cherry Red) è un sobrio cofanetto di tre cd sottotitolato, molto chiaramente, The Soundtrack of Soho’s Folk & Blues Club. Dunque non vi si ascoltano pezzi registrati davvero nel locale. All’epoca per farlo occorrevano tecnologie ingombranti e si percepiva come importante vivere il momento piuttosto che immortalarlo. Rarissime anche le foto esistenti, ma in questo caso il problema era diverso: il fumo di sigarette in sala era talmente spesso da rendere difficile ottenere immagini definite degli artisti sul palco.
Un caleidoscopio musicale
Il compilatore Ian A. Anderson (non quello che suonava il flauto con i Jethro Tull) ha dunque fatto affidamento a coeve registrazioni fonografiche evidenziando, lungo 72 tracce, i principali trend stilistici: il repertorio folk della tradizione britannica (Shirley Collins, Watersons, Young Tradition, Martin Carthy), il blues (Jo Ann Kelly, Mike Cooper, Alexis Korner), la quasi psichedelia (Incredible String Band, Dr. Strangely Strange, C.O.B.).
Al Les Cousins nasce il ‘suono di Soho’
Vi è poi un tipo di suono che, senza esagerare, ebbe origine qui e in altri locali vicini, il suono di Soho, potremmo dire. Parliamo di una forma di canzone d’autore delicata e sovente malinconica, ispirata al folk, al blues e a suoni ‘world’, costruita su accordature chitarristiche complesse e fingerpicking magistrali (per i quali fu maestro riconosciuto Davy Graham). Si formarono qui Donovan, John Martyn, Roy Harper, Ralph McTell, Nick Drake, Donovan, Bert Jansch oltre a future star pop del calibro di Al Stewart, Cat Stevens e dell’ospite d’oltreoceano Paul Simon.
Potrebbe sembrare tutto un po’ ovvio, ma il cofanetto è efficacissimo nell’evocare l’indiscutibile magia di un’epoca e di un luogo. Il risultato è godibile non solo per il neofita acustico, ma anche per l’esperto che vi troverà qualche personaggio oscuro e talentuoso, ad esempio Tom Yates (la sua Bye Bye Bohemia è una delle perle del disco), Andy Fernbach, Al Jones, Mudge & Clutterbuck.
Un’ultima precisazione: non era una scena folk-isolazionista questa. Salirono sul palco del Les Cousins sperimentatori come Sandy Bull e Ron Geesin (futuro collaboratore pinkfloydiano e presente nel cofanetto) e rocker del calibro di Van Morrison e Jimi Hendrix. Le note d’accompagnamento raccontano che David Bowie una sera non fu fatto suonare perché il cartellone era al completo.
Il Les Cousins chiuse i battenti nell’aprile 1972 in un mondo musicale ormai gigantizzato e meno spontaneo. Ma chi aveva vissuto i leggendari e affollatissimi all-nighters del sabato ne portò sempre nel cuore il ricordo.
È l’alba
La notte di musica è finita
L’ultimo appassionato di folk
Si tira su e se ne va
E mentre il lampo del primo sole ti acceca
È domenica mattina
(Bert Jansch – Daybreak, 1975)
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