L’album della svolta per Weyes Blood?
Non essere in sintonia con la stragrande maggioranza, anzi con la totalità, dell’opinione pubblica può essere imbarazzante. Anche se si tratta dell’opinione pubblica che si esprime riguardo a un disco pop. Titanic Rising di Weyes Blood (nome d’arte di Natalie Mering) ha ricevuto solo recensioni entusiastiche, Recensioni che lo descrivono come epico, possente, solenne. Per qualcuno si tratta, addirittura, di un’opera nel solco del Great American Songbook (Hoagy Carmichael, Irving Berlin e via giganteggiando).
Il primo approccio a Titanic Rising
Il recensore di TomTomRock, da sempre estimatore della canzone d’autore, sarebbe stato fin da subito felice di unirsi al coro di elogi. Invece, arrivato al quinto ascolto è ancora perplesso. Forse è colpa di un primo approccio schiacciato fra il recente Psychodrama di Dave e il vecchio Nilsson Schmilsson di Harry Nilsson. Rispetto alle tensioni esplosive del rapper britannico e all’eleganza dissipata del grande compositore americano Weyes Blood sembra da una parte più studiata e dall’altra meno strutturata.
Se è indiscutibile che gli autori con il talento di Nilsson rappresentano un confronto imbarazzante per chiunque, allora è la sensazione di svolta artistica sin troppo preparata a tavolino a divenire il problema principale. D’altronde, andando a rileggere il resoconto del nostro sito sull’esibizione di Weyes Blood al Primavera Sound 2017 si legge: “c’è sempre l’impressione di una qualche freddezza espressiva”.
Weyes Blood prova a uscire dal tipico ambito autoriale
Ecco, ascoltando Titanic Rising non si può non ammirare il desiderio di uscire dal contesto un po’ claustrofobico e autoreferenziale dell’autorialità contemporanea, ma al tempo stesso manca l’intensità messa a nuda che caratterizza, ad esempio, i lavori recenti di due colleghe della nostra, Wanderer di Cat Power e Remind Me Tomorrow di Sharon Van Etten.
I pezzi di Titanic Rising sono tutti ammirevoli per ampiezza di vedute soniche, per cura nei dettagli strumentali, eppure non si aggrappano al cuore. Solo Movies emoziona con la sua dimensione apocalittica, che è poi quella che ci si aspetterebbe dato il titolo dell’album (e l’immagine di copertina).
E adesso il povero recensore sente il bisogno di interrompere i suoi tentativi di farsi piacere questo disco a tutti i costi. Che è solo un modi di peggiorare le cose. E poi ci sono i vinili del Record Store Day che aspettano. Jazz Butcher, arrivo!
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