Yoann Lemoine, aka Woodkid, e il “nuovo” S16.
Arriviamo con colpevole ritardo a parlare del secondo disco di Yoann Lemoine, in arte Woodkid, S16. Non per scarso interesse verso questo musicista / produttore / videomaker il cui primo disco mi era anzi molto piaciuto, ma perché la nuova uscita mi ha lasciata perplessa ed è un po’ finita travolta da altro. Dev’essere la sensazione di molti, dal momento che S16 non ha avuto lo stesso successo dell’esordio. Certo Woodkid deve aver risentito più di altri della scarsa possibilità di prodursi live, poiché l’aspetto visuale dei suoi show sosteneva non poco la musica: ma il problema di S16 è più generale di così.
Dopo The Golden Age
Sono passati troppi anni dall’esordio: The Golden Age usciva nel 2013 in un panorama musicale nel quale l’elettronica magniloquente di Woodkid funzionava perfettamente. Non che da allora Yoann Lemoine sia rimasto a casa; come detto l’artista è polivalente, quindi concluso il tour ha continuato a lavorare insieme ad altri e ha prodotto musica per colonne sonore e per la moda. Segnaliamo soprattutto la campagna per Louis Vuitton. Nel 2020 però la scena nella quale Woodkid presenta il suo S16 non è più la stessa. L’elettronica sognante ha un suo nuovo interprete, soprattutto per le giovanissime generazioni, con Joji, che pure sui video punta molto. Il “sad boy” James Blake ha virato verso la ballata e una maggiore intimità, ma anche verso collaborazioni più hip tipo quelle con Travis Scott e Rosalia. Ancora, una band come The xx ha occupato una scena che Woodkid avrebbe potuto condividere, divenendo più pop ma sempre all’insegna del minimalismo.
Woodkid – S16
Che registro scegliere allora per restare nel medesimo ambito musicale?
Anche Lemoine prova a divenire meno magniloquente. A parte la traccia d’apertura e singolo Goliath, che ripropone i suoni di The Golden Age, S16 vira verso un maggiore intimismo. Quasi tutte le canzoni successive sono piuttosto lente e atmosferiche, mancano insomma di quel tono da cavalcata che avevano molti fra i suoi vecchi pezzi. Purtroppo però non sono sempre sostenute da interpretazione e scrittura all’altezza. Molto di S16 suona piatto, senza slanci particolari e finisce per non dispiacere, ma giusto quello, e a tratti subentra la noia. Forse sette anni di iato sono davvero troppi. Attendiamo una terza prova maggiormente significativa da un artista al quale il talento non manca.
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