Settimo disco per il texano Kevin Morby: This Is A Photograph.
Qualcosina di più di una sola fotografia, nell’ultimo lavoro solista, per la precisione il settimo, di Kevin Morby (This Is A Photograph, Dead Oceans) resta appiccicato al freddo e vecchio frigorifero del nostro cuoricino. Il songwriter texano, dal suono morbido e cullante, già con Oh My God (2019) – che rimane, per chi scrive, il suo disco di miglior equilibrio – più di qualche applauso lo aveva meritamente strappato. Oggi, con This Is A Photograph, qualcun altro se lo guadagna. Ma non tutto va come dovrebbe. Almeno, a parer nostro.
Le dieci nuove canzoni di Kevin Morby
This Is A Photograph, ovvero dieci songs, dodici a voler considerare la trascurabile intro (che si intitola, a sorpresa, Intro) e l’intermezzo (non si capisce bene a separare cosa) di Forever Inside A Picture: morbide madeleines, inzuppate nella tisana di un tempo familiare e dolcemente lasciato per strada. Ché poi questo tempo non sia, per Kevin Morby, un gran dottore, mi par certo, almeno quanto il suo imporsi da protagonista, filandosene via irrispettoso, sul palcoscenico di questo lavoro.
Un suono molto americano
Sfilano, nelle canzoni di This Is A Photograph, memorie familiari e delicate pitture di interni americani; madri diciannovenni che ballano si sovrappongono a padri che invecchiano, scoperti nella loro fragilità; sorelle che fissano stupite gli occhi nel mistero della notte si perdono fra le pieghe del tempo che è stato; le canzoni di Otis Redding e Tina Turner, il volto di Diane Lane e l’autografo di Mickey Marple, tutto è avvolto nel buio dei giorni dolci e un po’ salati che scorrono e passano via.
Le canzoni, i rimandi
I rintocchi che risuonano nella musica di Morby sono i soliti che gli conosciamo: da Lou Reed a Neil Young fino a Dylan (che però qui si fa sentire meno che in passato). Il cuore del disco ci pare stia proprio nel notturno tocco younghiano di Disappearig, nella suadente Five Easy Pieces, dalle morbidezze reediane (ma soffocata, ed è peccato, da un eccesso d’archi), appena screziata di più acidi echi dylaniani, oltre che nella ammaliante ballata roots a due voci (con Erin Rae), Bittersweet, Tn, non priva di compiaciuto gigioneggiare ma, a nostro giudizio, con Disappearing, la reginetta del ballo. C’è anche del movimento, si oserebbe dire del ritmo, nel lavoro di Kevin Morby: This Is A Photograph e Rock Bottom, in particolare, ci provano a scaldare il clima, ma a smuovere le acque, fin troppo quiete riflessive di questo lavoro, ci riescono un po’ pochino.
Per il resto, un sicuro mestiere guida in porto una navicella ben costruita. Bel suono, ma a volte troppo, troppo suono; belle canzoni, ma con il vizio della ripetizione poco variata; nessun inciampo, nessuna caduta, per carità. Alla lunga, però, un po’ di monotonia cala su questo inzuccherato universo di suoni ovattati.
Pregi e difetti di Kevin Morby e This Is A Photograph
Chi scrive resta convinto che il punto di debolezza stia proprio nei limiti d’interprete di Morby: sempre carino, sempre ben pettinato, pulito e in orario, ma mai capace di andare al cuore delle sue canzoni, per tacere del nostro. E dire che si sarebbe portati a volergli bene, a Kevin Morby. Si vorrebbe lasciarsi incantare da Random Of Kindness, da A Coat OF Butterflies e da Stop Before I Cry, con il loro posarsi lieve come neve in un mondo un po’ bamboleggiante di nostalgia, ma non ci si riesce. Colpa nostra, forse. Ma, si ha il sospetto, anche un po’ colpa di Morby, del suo laccare in eccesso voce e suoni, e del suo promettere e non sempre mantenere fino in fondo. Non si esclude possa far meglio, Kevin Morby, in futuro. Ma si teme, ahinoi, che non sappia far troppo di meglio. Nel frattempo This Is A Photograph è un bel disco e per il futuro si spera; siamo maestri in quest’arte di sbagliare.
Be the first to leave a review.