Il Rock en Seine 2022 riparte con molte criticità e con gli Arctic Monkeys quali headliner.
Ritorno al Rock en Seine post-pandemia per una giornata che, almeno sulla carta, sembra promettere bene: Yard Act, Idles, Fontaines D.C., Arctic Monkeys. Ci sarebbero altre esibizioni, incluse Inhaler e Yungblud, ma dato che bisogna scegliere, ci orientiamo per un programma che presenta anche una qualche coerenza di suono. Tuttavia, il Rock en Seine post-covid è cosa diversa da quello pre: gravi le disfunzioni organizzative con attese lunghissime per entrare e uscire, code infinite per i bar e il merchandising, spazio inadeguato sulle due scene principali, un suono non all’altezza di un grande festival, pessimo soprattutto durante il concerto degli Arctic Monkeys. Insomma, nell’insieme esperienza deludente.
Si comincia con gli Yard Act
La giornata musicale comincia con gli Yard Act, autori quest’anno di un buon disco d’esordio. Formazione a quattro, occhi sul cantante James Smith, che ritma lo spoken word tendendo quasi al rap, ma a rubare la scena è il baffuto chitarrista Sam Shjipstone. Pescano da The Overload, naturalmente, ma anche dall’EP del 2021, Dark Days, quello che li aveva segnalati all’attenzione della critica. Nonostante l’atmosfera del primo pomeriggio non sia sempre la più opportuna, riescono a mantenere una buona tensione.
Delusione Idles
Dopo una pausa per bere una birra (ci vogliono 50 minuti…), ci spostiamo verso la scena principale affollata per il concerto degli Idles. Con quattro dischi alle spalle nel giro di soli cinque anni, gli inglesi si sono costruiti una fama solida. È evidente che il pubblico attende un concerto spacca sassi e viene subito accontentato: ancora prima di cominciare a suonare Joe Talbot invita il pubblico a dividersi in due gruppi per dar vita a un mosh pit spettacolare, che andrà avanti per tutto il concerto. Diciamo che, se le intenzioni sono quelle, gli Idles sono perfetti. Altrimenti suonano soprattutto monocordi. Talbot ha dichiarato che la band non suona punk, e in effetti almeno live suonano come una via di mezzo fra i Killing Joke e una qualsiasi band hard-rock. A peggiorare la totale mancanza di tonalità nella voce, che suona sempre sforzata al limite dello strangolamento. Per esempio Crawl! perde del tutto il carattere stoogesiano che ha sul disco. Si apprezza la pausa blues di The Beachland Ballroom e i ripescaggi da Joy as an Act of Resistance, ma non molto di più.
I Fontaines D.C. come te li aspetti
E comunque, la fine del concerto non la si può vedere, se si vuole assistere a quello dei Fontaines D.C. Un altro colpo di genio degli organizzatori non lasciare nemmeno qualche minuto fra un concerto e l’altro su palchi che distano fra loro 10 minuti buoni di marcia; e se per caso volete una birra, bisogna mettere in conto di perdere mezzo concerto. Gli irlandesi attaccano con A Lucid Dream dal loro secondo A Hero’s Death, dal quale saranno eseguiti in tutto quattro brani; sei invece dall’ultimo Skinty Fia e altrettanti dall’esordio Dogrel. Manca purtroppo la mia favorita Liberty Belle. Dal vivo i Fontaines D.C. hanno la stessa intensità che su disco, diciamo né più né meno: suonano bene, essenziali e senza fronzoli, ma non aggiungono nulla alle versioni in studio. Sono una giovane band molto amata, e questo si riflette nel live, che non è fatto per scoprire qualche aspetto nuovo della loro musica.
Gli Arctic Monkeys alla vigilia del nuovo disco
Di corsa verso la scena principale affollata oltremisura per gli Arctic Monkeys, che hanno concepito il breve tour estivo per lanciare il loro prossimo LP, The Car, annunciato per il 16 ottobre proprio in questi giorni. Le anticipazioni si risolvono tuttavia in una sola nuova canzone. La setlist è quella tipica di un festival: ci sono molti pezzi di AM, d’altronde acclamati dal pubblico, e molti “vecchi” classici che non possono mancare, tipo 505, Crying Lightning, Teddy Picker, I Bet You Look Good on the Dancefloor. Menzione speciale per Do Me a Favor, forse il momento migliore. Novità rispetto alla scaletta dei concerti precedenti l’esordio di From the Ritz to the Rubble, una bella sorpresa. Non sorprende invece che da Tranquility Base Hotel + Casino (disco molto amato da TomTomRock) vengano eseguiti soltanto due pezzi, la title track e One Point Perspective, reputati non adatti a un festival – e l’applausometro dà loro ragione. Il nuovo pezzo si chiama, come ormai quasi tutti sapranno, I Ain’t Quite Where I Think I Am e ha un feeling molto 70s che mi piace. Più Tranquility che AM.
Semplice ma bella la scena, anche questa con un tocco 70s dato dall’oblò centrale che rinvia le immagini e, alla fine, la mirrorball citata dal primo pezzo di The Car. La performance degli Arctic Monkeys è solida ma lontana dall’entusiasta. L’Alex Turner visto sullo stesso palco con i Last Shadow Puppets e in versione Elvis per l’uscita di AM aveva ben altro piglio. È un vero peccato con un disco così imminente, e speriamo non sia un segnale negativo per il futuro della band.