Fenne Lily - BreachDead Oceans - 2020

Fenne Lily, Breach e il persistente fascino della problematicità.

Fenne Lily - Breach
Dead Oceans – 2020

Come si è già scritto più volte su questo sito, il 2020 può essere considerato – almeno in ambito anglofono – l’anno della canzone d’autrice. Si tratta in realtà della fioritura di qualcosa che era in boccio da diversi anni e che potrebbe avere spiegazioni sociologiche di varia improbabilità. Ad esempio che in un’epoca di valori depauperati come la nostra le donne sanno mostrarsi più acute nell’autoanalisi, attività che si estrinseca meglio nella canzone d’autore che nella trap.  Più probabile che si tratti di un caso (*).

Fenne Lily e le altre

Nel corso dell’anno abbiamo dunque apprezzato, fra molte altre cose interessanti, lampi di iconoclastia sonica (Fiona Apple), soprassalti di rabbia (Lucinda Williams), pacati quadretti familiari (Laura Marling e l’esordiente Eve Owen),  e resoconti di disagio (Soccer Mommy). A quest’ultimo ambito si può ascrivere anche Breach di Fenne Lily.

 

L’album è il risultato di un lungo isolamento della ragazza londinese/bristoliana a Berlino. Il Covid non c’entra nulla in questa reclusione; c’entrano invece guai amorosi, ma anche musicali (una tournée non troppo felice seguita all’opera prima On Hold). Breach può essere considerato una sorta di saggio emozionale – con tanto di casistica – sul significato delle relazioni sentimentali e su quanto di utile da esse si può trarre, specie da quelle finite male. Un esempio è I, Nietzsche, con protagonista un fidanzato così fissato con il Filosofo Federico da preferirlo, anche eroticamente, alla Nostra: “Io non sopporto di essere una seconda scelta/ Tu vieni con Dio è morto” (**). Un altro è, fin dal titolo, I Used To Hate My Body But Now I Just Hate You (a titolo di cronaca dedicato a qualcuno incontrato tramite Tinder):”A novembre ti ho frequentato per un weekend/ A dicembre ti ho amata da impazzire/ In estate mi hai lasciato per una mia amica/ Mai avuto la possibilità di giocarmela bene”.

Breach non è quel che potrebbe sembrare

 

Ciò detto si può essere indotti a immaginare un eccesso di auto-problematicità, come era accaduto, ad esempio, per il pur notevole disco di Soccer Mommy. Non è così: praticamente tutte le composizioni di Breach sono ariose e rassicuranti, come se rappresentassero un ben riuscito distanziamento dal dolore. E Berlin lo dice chiaro: “Ormai non è più difficile essere sola”. Inoltre c’è una bella varietà sonora, dalla classica ballata folk di Someone Else’s Trees, al ritmo coinvolgente (con distorsioni controllate) di Alapathy, agli ampi passaggi strumentali di Solipsism che ne contraddicono il titolo. Quanto alla già menzionata I Used To Hate My Body But Now I Just Hate You, viene spontanea canticchiarla già dopo il primo ascolto – attività peraltro sconsigliata se si è in affettuosa compagnia. Grandi progressi dunque per Fenne Lily rispetto al primo disco e grandi speranze per il futuro; d’altronde parliamo di una ragazza di 23 anni.

 

(*) Chi scrive si è trovato più volte a ragionare su quella stagione di grande talenti autoriali che va sotto il nome di “scuola genovese”. Molti potrebbero essere stati i fattori socio-ambientali scatenanti, ma forse contò di più la casualità di un gruppo di giovani bravi con la musica nello stesso momento e nello stesso quartiere. 

(**) Il riferimento a Nietzsche è chiaro, ma un musicofilo italiano tende a pensare alla celebre canzone dei Nomadi con effetto involontariamente comico.

Fenne Lily - Breach
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Nello scorso secolo e in parte di questo ha collaborato con Rockerilla, Musica!, XL e Mucchio Selvaggio. Ha tradotto per Giunti i testi di Nick Cave, Nick Drake, Tom Waits, U2 e altri. E' stato autore di monografie dedicate a Oasis, PJ Harvey e Cranberries e del volume "Folk inglese e musica celtica". In epoca più recente ha curato con John Vignola la riedizione in cd degli album di Rino Gaetano e ha scritto saggi su calcio e musica rock. E' presidente della giuria del Premio Piero Ciampi. Il resto se lo è dimenticato.

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